venerdì 27 dicembre 2013

L'eco della fotografia africana



A sinistra foto di Seydou Keïta, a destra foto di Rainer Elstermnn.

La frequentazione del web offre a volte interessanti stimoli di riflessione. Poco fa, ad esempio, sono capitato sul sito del fotografo tedesco Rainer Elstermann. Che si tratti di un valido professionista è indubbio, che il suo stile incontri il mio gusto invece è assai discutibile, ma suppongo che quest'ultimo non costituisca argomento di particolare interesse per il mondo. La cosa che invece trovo interessante è che tra i suoi ritratti ce n'è un gruppo realizzato in Africa. Un po' di ricerche mi hanno svelato che si tratta di fotografie scattate in Kenya a Karen, ai piedi delle colline Ngong. Elstermann qui ha trovato un piccolo studio in cui gli emigrati si facevano ritrarre per inviare a casa le immagini della loro nuova condizione. Memore dell'esperienza di Irving Penn a Cuzco, Elstermann, decide di affittare per qualche giorno lo studio e riprendere la popolazione locale utilizzando abiti e accessori recuperati. O almeno questa è la versione ufficiale (che tende a essere un po' meno credibile se si osserva la precisione e la disinvoltura di alcune pose e delle acconciature. Ma poco importa non è questo l'aspetto interessante). La cosa che colpisce è come al di là delle fisionomie dei soggetti rappresentati nelle immagini siano evidenti le tracce di fotografi come Seydou Keïta o Malick Sibidé tanto per citare i due nomi più famosi. Ora in un mondo culturale formalmente euro-america centrico (intendendo per America in particolar modo gli Stati Uniti) è abbastanza singolare che un autore europeo finisca per rifarsi a stilemi tratti dalla fotografia africana mutandoli con influenze più o meno modaiole. Soprattutto però è interessante che la fotografia guardi (sia pure in ritardo) all'Africa come già hanno fatto molto tempo prima pittura, scultura e musica.


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1 commento:

Unknown ha detto...

Angeli&Demoni

Nient'affatto Brown e compgania cantando, quanto proorio alla lettera. Insomma personalmente ritengo blasfemo mettere insieme bianconero e colore. E non è neanche una questione di tempi, gusti. E' un'altra lingua, e chi ci gioca con gli accostamenti poco intende della materia, o è l'ennesima "provocazione" del tutto inutile in fin dei conti.
Si guardi la solennita della bianconero, la compostezza e la fierezza delle sedute. Ora si "guardi" prima del contato vomitoso, a destra: c'è una parola? Si, breve e lapidaria: pornografia. Siché chi ha orecchio per intendere intenda...che il suo numero è 666. Vabbene è andata, la citazione è dall'Apocalisee, e ci siamo intesi per chi ancora gioca, Capitolo 13. Bel numero Templare!

Saluti
Manunzio alias Michele Annunziata