martedì 14 settembre 2010

Mario Iovino: Al fronte senza iPhone

Foto di Mario Iovino, da Viaggio Interiore.
«Probabilmente nella comodità delle proprie case non si pensa a quella è la nostra quotidianità,
fatta di un’alienazione incessante che dura per tutto il tempo del mandato»

David Guttenfelder è un professionista, lavora per l’Associated Press. Anche Mario Iovino è un professionista e lavora per l’Esercito Italiano. David Guttenfelder ha conquistato cinque premi al World Press Photo. Mario Iovino ha conquistato i gradi di maresciallo. Ma cosa hanno in comune David e Mario? Nulla per quel che ne posso sapere oltre a essere stati citati uno affianco all’altro in questo blog ed aver scattato entrambi fotografie che raccontano la vita quotidiana di un gruppo di militari in Afghanistan. David ha seguito le truppe americane e le ha fotografate, tra l’altro, con il suo cellulare. Mario ha fatto il suo lavoro di militare per circa sei mesi, da ottobre 2007 ad aprile 2008, nella base conosciuta come Werehouse situata nella Violet, la strada di Kabul più famosa nel mondo per la sua pericolosità. Le fotografie afghane di David sono arrivate sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. Le fotografie afghane di Mario si sono fermate sul tavolo di un ufficiale che ha stabilito che non potessero nemmeno essere inviate a Roma per una valutazione circa l’eventualità di una loro diffusione. Chi le ha potute vedere lo ha fatto in un paio di occasioni nell'ambito della microssegna di corti Eppur non si muove che ho curato presso Su Palatu a Villanova Monteleone e Spazio Maimeri di Milano.

Foto di Mario Iovino, da Viaggio Interiore.
«Il nero e le gabbie spiegano il senso di fusione tra il giorno e la notte che si trasforma abbastanza presto
in uno stato di oppressione che non ci fa più riconoscere il ritmo quotidiano che eravamo abituati a vivere»
Questo non è un confronto tra due autori non confrontabili. Tra i due lavori ci sono tante differenze: lo strumento usato per la loro realizzazione, l’uso del colore e del bianconero, il periodo in cui sono state scattate, la differente professionalità dei loro autori, lo stile inteso come tipologia di taglio, resa tonale etc. Ma soprattutto è differente l’intenzione. Da una parte un professionista dell’immagine che decide di sperimentare uno strumento non deputato per fare le sue foto che per sua stessa ammissione vorrebbero imitare (chissà mai perché) quelle dai militari alle loro famiglie, dall’altra un militare che vuole raccontare la sua esperienza per come la sta vivendo da dentro. Da una parte un uomo che per quanto condivida scomodità e pericoli è lì e vive tutto in qualche modo dall’esterno. Dall’altra un uomo che vive richiuso per circa sei mesi sapendo che il suo lavoro lo trasforma ventiquattro ore su ventiquattro in potenziale bersaglio. E la sua visione inevitabilmente è cupa, angosciosa, carica di neri, tensioni, barriere, grate che limitano lo spazio, sovrastrutture imposte, anche all’interno della caserma, da ragioni di sicurezza. Guardando le immagini di Mario Iovino si prova tutta la claustrofobia, l’incertezza derivante da una sita situazione in cui i neri esplodono raccontando non tanto quello che sta davanti all’obiettivo, quanto piuttosto quello che passa continuamente nella testa di un militare che vive ed opera in Afghanistan in condizioni di guerra. Credo che possano piacere come non piacere, ma di sicuro se si ha il buon gusto di fermarsi a guardare queste immagini sono in grado di raccontarci molto più di una pseudopolaroid.
Foto di Mario Iovino, da Viaggio Interiore.
«Sai perché la medaglietta di riconoscimento che portiamo al collo ha questi buchi?
Perché se succede
qualcosa di brutto si spezza in due e se ne inchioda metà sulla bara per l’identificazione»


Non voglio mettere a confronto due lavori che per finalità e forma non sono confrontabili, ma non riesco a non pensare che le immagini di Guttenfelder, quantomeno quelle pubblicate su Internazionale, siano più vicine a una specie di gioco che vive dell’estemporaneità. Vi lascio alle parole di Mario Iovino.




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6 commenti:

Nicola Petrara ha detto...

L'attuale sovrabbondaza di immagini di guerra raccolte nei vari word press photo, della getty imagines, sul sito di The big picture, dove quasi quotidianamente mi alimento di foto, ci ha abituati al desiderio morboso di vedere la morte, e a volte si fatica a reprimerlo. Il rischio maggiore credo sia di non soffermarsi su testimonianze come quella di Mario Iovino. Non oso giudicarle tecnicamente, non ne sono all'altezza, e poi perché. Come spesso mi accade, sento il bisogno non tanto di complimentarmi quanto di ringraziare chi con umiltà ha condiviso un pezzo della sua esperienza senza la palese ricerca di una ribalta.

bulk ha detto...

La guerra produce morte,ahimé.Chi prova desiderio di vedere la morte forse ha un problema, che nulla ha a che vedere con chi testimonia la realtà della guerra, ed è tenuto a raccontarla per quello che è.Le immagini di Iovino hanno il pregio di non essere retoriche, e il difetto di offrire dell'esperienza, anche interiore, dei nostri militari in zona di guerra, solo quello che la censura consente, ed è poco. I soldati a natale, i soldati a pasqua, i soldati nel compound, qualche sigaretta, una partita di calcio.Sono certo che ci sia molto altro nei ricordi e nelle immagini di Iovino, soprattutto in quelle che il comando non gli ha permesso di utilizzare. Il popolo americano ha coscienza della guerra.I militari e i giornalisti possono raccontarla dove si combatte, ovvero in prima linea.Sorgente infinita di esperienze interiori. Spero che Iovine abbia la possibilità, un giorno, di farci vedere quello che non può, e per cui in fondo ha già dimostrato di voler lottare: la libertà di testimoniare ciò che accade.

Anonimo ha detto...

....tuttavia il confronto c'è e lo trovo decisamente interessante ed aggiungo che mi rende quasi felice perchè esprime, in qualche modo, quello che penso riguardo al reportage di guerra...
e ancora grazie Sandro.
A. P.

Unknown ha detto...

Credo sia necessario chiarire un punto: il video visibile in questo post è esattamente ciò che Mario Iovino intendeva mostrare nella forma da lui scelta. Tutte le immagini di Iovino sono state all'epoca sottoposte al vaglio dei superiori diretti e nessuna lo ha superato, comprese quelle che avete appena potuto vedere. Per questo motivo, finora, non mi ero permesso di pubblicare il lavoro, cosa che faccio ora, ovviamente non prima di aver ricevuto il consenso dell'autore. Il tutto nonostante a mio avviso il rendere pubbliche queste immagini non possa e non avrebbe potuto in alcun modo mettere minimamente in discussione la sicurezza della base (attualmente dismessa) e delle attività che in essa si svolgevano.

Mario Iovino ha detto...

Approfitto di qualche riga per ringraziare pubblicamente Sandro Iovine per lo spazio che ha voluto dedicare a questo progetto, che non ha mai visto la luce. Io mi sono interragato spesso sul motivo della censura di queste immagini all'epoca in cui sono state prodotte, la mia personale conclusione è che forse ho chiesto un salto di mentalità ad un sistema che, ancora oggi, non è pronto ad affrontare. L'intenzione di questo racconto è quello di portare la gente a vedere un mondo che stenta a mostrasi; spero di esserci riuscito senza troppe pretese.

Mario Iovino.

Anonimo ha detto...

Caro Mario sei riuscito benissimo nel tuo intento, grazie per averci fatto vivere via foto delle realtà molte volte a noi sconosciute, certamente è una realtà molto dura ed allo stesso tempo triste, ma anke questo fa parte della vita...